Le parole del presidente Obama prima di lasciare Tokio. Appello alla Birmania per la liberazione di San Suu Kyi
You need Flash Player 8 or higher to view video content with the ROO Flash Player. Click here to download and install it.
MILANO - Una Cina forte e prospera è un vantaggio per tutti: gli Stati Uniti non intendono contenere il successo di Pechino ma piuttosto perseguire una «cooperazione pragmatica» con la Cina sui temi di reciproco interesse. Lo ha detto a Tokio, prima tappa del suo viaggio in Asia, prima di partire per Singapore, dove l'inquilino della Casa Bianca è arrivato sabato mattina. A Singapore, seconda tappa del suo tour asiatico di nove giorni, Obama ha preso parte al vertice dell’Apec (Cooperazione economica Asia Pacifico). Lasciata Singapore, sarà la volta della Cina e della Corea del Sud. Nel discorso ada ampio raggio tenuto a Tokio, Obama si è presentato come il «primo presidente Usa del Pacifico», ribadendo l'impegno profondo degli Stati Uniti nella regione asiatica e rassicurando il Giappone sui rapporti con gli States (l'inquilino della Casa Bianca ha parlato di partnership «incrollabile»).
«COOPERAZIONE PRAGMATICA» - - Obama ha detto di non voler «contenere» il successo economico della Cina perché la prosperità di Pechino può essere di beneficio a tutti. «Se coltiviamo sfere di cooperazione anziché sfere di influenza vi saranno progressi per tutte le nazioni della regione», ha detto Obama. Per questo motivo «è importante perseguire una cooperazione pragmatica con la Cina sui temi di reciproco interesse: nessuna nazione può risolvere da sola le grandi sfide del XXI secolo», ha detto. Nello stesso tempo una relazione «più profonda con la Cina non significa un indebolimento delle nostre alleanze bilaterali».
Obama a Tokyo (Afp)
APPELLO ALLA BIRMANIA - A meno di 48 ore dal suo arrivo a Pechino per la prima visita in Cina, dove ha anticipato che parlerà di diritti umani «in uno spirito sereno» e «senza rancore», Obama ha promesso un maggiore impegno degli Stati Uniti in Asia, con un'implicita critica all'era Bush. «So che l'America negli ultimi anni non hanno mostrato molto impegno nell'attività delle organizzazioni multilaterali asiatiche», ha ammesso, «una cosa deve essere chiara: quel periodo è finito». «Quello che accade qui ha un effetto diretto sulle nostre vite negli Stati Unirti», ha osservato Obama, «è in questa regione che transita gran parte del nostro commercio e che compriamo gran parte dei nostri beni, è qui dove possiamo esportare gran parte dei nostri prodotti creando così più posti di lavoro negli Stati Uniti». Incisivo l'appello rivolto dal presidente americano alla Birmania e teso alla liberazione di Aung San Suu Kyi e gli altri prigionieri politici «senza condizioni».
sabato 14 novembre 2009
lunedì 2 novembre 2009
L'Irap punisce chi dà lavoro (corriere della sera)
Non sono molte le aziende che quest’anno chiuderanno il proprio bilancio in attivo. Ma tutte, anche quelle che nel 2009 perderanno, dovranno pagare l’Irap, un’imposta che non colpisce i profitti, ma il costo del lavoro. Faccio un
esempio. Un’azienda che quest’anno fattura 5 milioni ed ha un costo del lavoro, diciamo, di 3 milioni, pagherà
circa 100.000 euro di Irap, anche se chiuderà il bilancio con una perdita di 100 mila euro. L’Irap cioè raddoppierà
le perdite di questo imprenditore.
Il paradosso è che questa imposta punisce le aziende che nella crisi hanno cercato di proteggere i loro dipendenti,
evitando di ricorrere alla cassa integrazione anche quando gli ordini scarseggiavano. Chi più ha sfruttato la cassa,
meno Irap pagherà.
So bene che l’Irap è un’imposta regionale, che sostituisce la vecchia «tassa sulla salute» e serve per pagare la sanità
pubblica. Ma allora consentiamo alle aziende di considerarla al pari degli altri oneri sul lavoro: così almeno
sarebbe interamente deducibile.
D’altronde questa è la promessa che aveva fatto Silvio Berlusconi già nel 2003: «Aboliremo l’Irap in 5 anni perché
è un’imposta anomala che colpisce il lavoro e le imprese che si vogliono sviluppare. Quando la aboliremo occorrerà
una contropartita, forse ci sarà un ritorno al passato come il contributo sanitario che però potrà essere parzialmente
recuperato». Promessa rafforzata nel programma del Popolo della libertà per le elezioni del 2008, dove nel
capitolo «Un nuovo fisco per le imprese » è scritto: «Graduale e progressiva abolizione dell’Irap, a partire dall’abolizione
dell’Irap sul costo del lavoro e sulle perdite» (sic).
Il ministro dell’Economia accusa le banche di strozzare le imprese lesinando il credito. Afferma di non
comprendere perché le banche non usino la possibilità che egli offre loro di finanziarsi con i Tremonti-bonds per i
quali la Legge finanziaria ha stanziato 12 miliardi di euro. Il motivo per cui le banche rifiutano queste obbligazioni
è molto semplice: oggi possono finanziarsi sul mercato a condizioni più favorevoli di quelle che offre loro il Tesoro.
Le renda più appetibili e vedrà che le banche le utilizzeranno. Finché non lo fa quei 12 miliardi non verranno spesi.
Perché allora non destinarli all’abolizione dell’Irap? Ciò che io temo è che fra qualche giorno leggeremo che quei 12
miliardi sono stati destinati a finanziare la Banca del Sud, cioè non ad aiutare tutte le imprese, bensì le più furbe,
quelle che creeranno attività fittizie nel Mezzogiorno per accedere ai finanziamenti della nuova banca. Non sarebbe
la prima volta.
Si osserverà che 12 miliardi non bastano per compensare la perdita dell’intero gettito dell’Irap, ne servirebbero almeno
altri 20. Ma se il ministro dell’Economia è davvero convinto che le imprese abbiano disperatamente bisogno
di liquidità, egli converrà che non sottrarre loro oltre 30 miliardi è un modo per sostenere la ripresa, e ciò
consentirebbe al Tesoro di recuperare una parte del gettito perduto.
Francesco Giavazzi
esempio. Un’azienda che quest’anno fattura 5 milioni ed ha un costo del lavoro, diciamo, di 3 milioni, pagherà
circa 100.000 euro di Irap, anche se chiuderà il bilancio con una perdita di 100 mila euro. L’Irap cioè raddoppierà
le perdite di questo imprenditore.
Il paradosso è che questa imposta punisce le aziende che nella crisi hanno cercato di proteggere i loro dipendenti,
evitando di ricorrere alla cassa integrazione anche quando gli ordini scarseggiavano. Chi più ha sfruttato la cassa,
meno Irap pagherà.
So bene che l’Irap è un’imposta regionale, che sostituisce la vecchia «tassa sulla salute» e serve per pagare la sanità
pubblica. Ma allora consentiamo alle aziende di considerarla al pari degli altri oneri sul lavoro: così almeno
sarebbe interamente deducibile.
D’altronde questa è la promessa che aveva fatto Silvio Berlusconi già nel 2003: «Aboliremo l’Irap in 5 anni perché
è un’imposta anomala che colpisce il lavoro e le imprese che si vogliono sviluppare. Quando la aboliremo occorrerà
una contropartita, forse ci sarà un ritorno al passato come il contributo sanitario che però potrà essere parzialmente
recuperato». Promessa rafforzata nel programma del Popolo della libertà per le elezioni del 2008, dove nel
capitolo «Un nuovo fisco per le imprese » è scritto: «Graduale e progressiva abolizione dell’Irap, a partire dall’abolizione
dell’Irap sul costo del lavoro e sulle perdite» (sic).
Il ministro dell’Economia accusa le banche di strozzare le imprese lesinando il credito. Afferma di non
comprendere perché le banche non usino la possibilità che egli offre loro di finanziarsi con i Tremonti-bonds per i
quali la Legge finanziaria ha stanziato 12 miliardi di euro. Il motivo per cui le banche rifiutano queste obbligazioni
è molto semplice: oggi possono finanziarsi sul mercato a condizioni più favorevoli di quelle che offre loro il Tesoro.
Le renda più appetibili e vedrà che le banche le utilizzeranno. Finché non lo fa quei 12 miliardi non verranno spesi.
Perché allora non destinarli all’abolizione dell’Irap? Ciò che io temo è che fra qualche giorno leggeremo che quei 12
miliardi sono stati destinati a finanziare la Banca del Sud, cioè non ad aiutare tutte le imprese, bensì le più furbe,
quelle che creeranno attività fittizie nel Mezzogiorno per accedere ai finanziamenti della nuova banca. Non sarebbe
la prima volta.
Si osserverà che 12 miliardi non bastano per compensare la perdita dell’intero gettito dell’Irap, ne servirebbero almeno
altri 20. Ma se il ministro dell’Economia è davvero convinto che le imprese abbiano disperatamente bisogno
di liquidità, egli converrà che non sottrarre loro oltre 30 miliardi è un modo per sostenere la ripresa, e ciò
consentirebbe al Tesoro di recuperare una parte del gettito perduto.
Francesco Giavazzi
Iscriviti a:
Commenti (Atom)