giovedì 29 ottobre 2009

Per il Tibet ci vuole un modello Sud Tirolo (da corriere della sera)

Gli ospiti Presenti il ministro cinese Wang, i ministri Bondi e Brambilla e Giulio Andreotti

ROMA - «Nel Tibet si deve arrivare a un periodo di convivenza pacifica. Affinché la popolazione trovi una possibilità di sviluppo che dia il via a un nuovo Rinascimento tibetano». E' questo l' auspicio formulato da Cesare Romiti, presidente della fondazione Italia-Cina, al termine di una maratona culturale dedicata a una delle aree più critiche per il governo di Pechino (tristemente nota per la repressione dei monaci buddisti) e mirata a valorizzare «l' impegno cinese già in atto per far migliorare le condizioni di vita della popolazione dell' altopiano». Obiettivo tentato, in una due giorni di dibattito, snocciolando le cifre dei trasferimenti: 201.9 miliardi di yuan (circa 20 miliardi di euro) versati dal governo cinese in 50 anni, tre quarti dei quali negli ultimi 8. Con risultati come la riduzione del tasso di analfabetismo. Legate all' iniziativa due mostre, a Roma e a Milano, con opere sul Tibet di 68 pittori cinesi. Invitati al forum, con il ministro dell' Informazione cinese Wang Chen, il presidente della Regione autonoma del Tibet Duo Tuo, i ministri dei Beni culturali e del turismo Sandro Bondi e Michela Brambilla e Giulio Andreotti. Ma che senso ha parlare di Nuovo rinascimento per il Tibet, mentre sono alte le richieste di autodeterminazione e le proteste per la violazione dei diritti civili dei tibetani che si riconoscono nel Dalai Lama? Romiti non si sottrae: «E' assurdo che oggi nel mondo esista ancora una situazione come quella del Tibet. E' logico che la Cina non rinuncerà mai a quell' area. Lì, però, ci sono 1700 monasteri buddisti. E i monaci non hanno mai manifestato l' intenzione di muoversi di lì. Il Dalai Lama non si è ancora capito se vuole essere una figura religiosa o un capo di Stato. Certo è che si deve arrivare a un percorso di convivenza pacifica». E come lo immagina? «Gli esperti arrivati al forum da varie parti del mondo hanno messo in luce lo sviluppo che ha già avuto la regione. Al di là di tutto, la popolazione tibetana ha sempre vissuto una vita di miseria. Ma il Tibet di oggi non ha nulla a che vedere con il Tibet di 10 anni fa. Nel convegno si è parlato di industria, agricoltura, cinema: tutte realtà in crescita. La Cina ha costruito una ferrovia Pechino-Lasa che arriva a 5.000 metri di altezza per unire il Tibet al resto del mondo che è un gioiello di tecnologia». Ma il prezzo dello sviluppo può essere la repressione del diritto all' autodeterminazione del popolo del «tetto del mondo»? «No. Va studiata una via d' uscita - chiarisce Romiti -. Noi lo abbiamo fatto con un problema analogo che avevamo nel Sud Tirolo. Auspichiamo una soluzione simile che, nell' alveo della Grande Cina, lasci autonomia ai tibetani per potersi autogovernare, senza rinunciare a un miglioramento delle condizioni di vita». Virginia Piccolillo RIPRODUZIONE RISERVATA

Piccolillo Virginia

domenica 18 ottobre 2009

Lui la soprannomina 'Guantanamo', lei divorzia (da ANSA)

RIAD - Una saudita ha chiesto il divorzio dopo aver scoperto che il marito l'aveva soprannominata 'Guantanamo' sul suo cellulare. Lo scrive oggi il quotidiano al Watan secondo il quale la donna, di una trentina di anni e abitante a Gedda, ha scoperto per caso che il marito aveva memorizzato con il nome della tristemente famosa prigione americana sull'isola di Cuba, il suo numero di telefono. Ha infatti provato a chiamarlo sul cellulare ma lo sventurato l'aveva lasciato a casa e la moglie ha potuto cosi' vedere il numero alla voce Guantanamo illuminarsi sul display.

Furibonda ha chiesto il divorzio sostenendo che attribuendole un simile nomignolo, il marito la considerava una persona tirannica. Il centro di detenzione di Guantanamo e' divenuto il simbolo degli eccessi della ''guerra contro il terrorismo'' ingaggiata dall'ex presidente George W. Bush dopo l'11 settembre; l'attuale capo della Casa Bianca Barack Obama, ha intenzione di chiuderlo.




Che grande "Guantanamo", meglio presto che tardi.

giovedì 1 ottobre 2009

LE CICATRICI DELLA CRISI

di Paola Giuliano e Antonio Spilimbergo

Le grandi crisi finanziarie del passato hanno lasciato importanti eredità sulla struttura economica e
politica dei paesi interessati. L'analisi statistica mostra che le recessioni hanno un impatto
significativo sulle opinioni degli individui, specialmente se questi hanno tra i 18 e 25 anni. Per
esempio, chi ha vissuto durante un periodo di crisi economica tende a credere che il caso conti più
dell'impegno personale per il successo nella vita. E si aspetta perciò una maggiore redistribuzione
da parte dello Stato. Gli americani diverranno dunque più "europei"?
Mentre le maggiori economie del mondo iniziano la ripresa da quella che è stata la recessione più
grave dopo la grande depressione, il dibattito pubblico si è spostato dal come fronteggiare
l’immediata emergenza al considerare i possibili effetti della crisi nel lungo periodo.
EFFETTI DELLA CRISI
Le grandi crisi finanziarie del passato hanno lasciato importanti eredità economiche, hanno
cambiato la maniera in cui gli economisti pensano all’economia, e, soprattutto, hanno modificato le
attitudini della gente nei confronti dell’economia stessa.
Prendiamo la grande depressione, che, iniziata nel 1929 negli Stati Uniti, ha toccato tutti i paesi del
mondo. Gli effetti della grande depressione sulla struttura economica si sono sentiti per decenni
nonostante profondi cambiamenti politici. Ad esempio, in Italia, l’Iri, l'Istituto per la ricostruzione
industriale, nato nel 1933 è sopravvissuto alla seconda guerra mondiale e ha cessato di esistere
solo nel 2002. Nel campo della teoria economica ci sono stati cambiamenti altrettanto importanti con
la pubblicazione nel 1936 della “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta,”
che ha formato le generazioni successive di economisti ed è ora tornato di attualità.
Olivier Blanchard, direttore del servizio studi del Fondo monetario internazionale, ha recentemente
affermato che “la crisi lascerà cicatrici profonde per ancora parecchi anni”. In aggiunta alle profonde
cicatrici, la crisi lascerà una serie di domande che gli economisti discuteranno per anni. Il premio
Nobel Paul Krugman, tra i primi a cominciare il dibattito, ha provocatoriamente chiesto quale sia
stato il contributo della macroeconomia negli ultimi decenni che possa aiutarci a capire la crisi
contemporanea.
Oltre a conseguenze sulla struttura economica e sulla politica, le crisi finanziarie possono avere un
effetto profondo sulla psicologia della popolazione. Negli Stati Uniti, i libri di John Steinbeck sono
forse il simbolo emblematico della psicologia degli americani durante la depressione degli anni Trenta.
RECESSIONI E OPINIONI
Quali sono gli effetti psicologici e politici della crisi attuale? In attesa del nuovo Steinbeck, alcune
ricerche possono aiutarci a immaginarne gli effetti. Diversi saggi in psicologia sociale suggeriscono
che le opinioni politiche e sociali, che ci accompagneranno poi per tutta la vita, si formano durante
un periodo critico della nostra adolescenza, i cosiddetti “anni formativi”, che coprono all’incirca dai
18 ai 25 anni di ciascuno individuo.
La nostra ricerca studia l’effetto delle recessioni sulle opinioni e il sistema di credenze degli individui.
(1) Si basa sulla General Social Survey, un sondaggio condotto negli Stati Uniti dal 1972 sino ad
oggi con frequenza quasi annuale. Il sondaggio contiene non solo informazioni sulle caratteristiche
demografiche dei partecipanti (ad esempio età, professione, luogo di residenza, luogo dove
l’individuo è cresciuto) ma anche risposte a domande sul sistema di credenze dell’individuo.
Sapere dove ogni individuo è cresciuto durante “l’età critica” ci permette di associare a ciascuno la
situazione di macroeconomia nella sua regione.
Ci sono alcuni fattori importanti da tenere presenti in questo esercizio. Innanzitutto, molti altri fattori
individuali (ad esempio la storia della famiglia di origine, il livello di istruzione piuttosto che il reddito)
o sociali (ad esempio guerre, cambiamenti culturali) possono influenzare le opinioni degli individui.
Per tornare all’esempio della grande depressione, gli individui cresciuti in quel periodo hanno anche
vissuto l’esperienza traumatizzante della seconda guerra mondiale. Come distinguere l’effetto della
grande depressione da quello della seconda guerra mondiale? Nel nostro lavoro utilizziamo le
fluttuazioni macroeconomiche regionali, che sono per l’appunto specifiche a una particolare
zona geografica e non coincidono esattamente con le fluttuazioni della nazione nel suo complesso.
In altre parole, teniamo conto della possibilità che, per esempio, la California possa essere in
recessione mentre il Pil del resto degli Stati Uniti sta nel complesso crescendo.
L’analisi statistica mostra che effettivamente le recessioni hanno un impatto significativo sulle
opinioni degli individui, specialmente se hanno tra i 18 e 25 anni. Le persone che hanno vissuto
durante una recessione tendono a credere che il caso conti più dell’impegno personale nello
spiegare il successo nella vita. Per tale motivo, gli stessi individui si aspettano una maggiore
ridistribuzione da parte dello stato. Questi effetti sono economicamente importanti: una recessionedurante l’età critica ha lo stesso effetto di uno o due anni in più di istruzione: le persone più istruite,
infatti, preferiscono politiche ridistributive.
Riassumendo, sono tre i fattori da tenere in considerazione. Primo, gli effetti sulle opinioni di una
recessione grave sono molto importanti quando gli individui hanno tra i 18 e 25 anni, poi sono
progressivamente meno rilevanti. Secondo, gli effetti di una recessione durante l’età critica
persistono nell’età adulta, anche dopo molti anni. Terzo, i nostri risultati sottostimano l’effetto delle
recessioni perché valutano solo quelle regionali, senza tenere in considerazione recessioni
nazionali.
VERSO UN NUOVO NEW DEAL?
Ma perché studiare le opinioni è importante? Le esperienze di oggi formano le opinioni di domani,
che, alla fine, determinano le politiche nel futuro. Thomas Pikkety ha argomentato che le persone
che pensano che il caso sia ciò che conta nella vita preferiscono una tassazione maggiore. (2) In
modo simile, Alberto Alesina e George-Marios Angeletos e Roland Benabou e Jean Tirole
postulano che differenze di opinioni su quanto il mondo sia “giusto” possono anche spiegare
differenze nei sistemi politici. (3) Gli autori dimostrano che paesi che credono che il mondo sia
giusto preferiscono il laissez faire a un sistema di protezione sociale più esteso: si pensi alledifferenze tra il sistema “americano” e quello “europeo”.
È ancora presto per dirlo, ma è possibile che la profonda crisi finanziaria che è cominciata negli
Stati Uniti faccia cambiare il sistema di opinioni della popolazione e renda gli americani più
europei? Dopo tutto, cambi politici profondi negli Stati Uniti sono spesso avvenuti dopo grandi crisi
economiche: ad esempio, il “New Deal” è seguito alla grande depressione.