lunedì 21 settembre 2009

Quanti sono i lavoratori precari

Emiliano Mandrone

Nicola Massarelli

21-03-2007

La stima del numero dei precari non è semplice. Ma se adottiamo una definizione "operativa", che includa i

lavoratori a termine involontari, i collaboratori con forti indizi di subordinazione e gli individui non più occupati

perché hanno concluso un contratto temporaneo e che tuttavia sono ancora sul mercato del lavoro, possiamo

calcolare che la precarietà coinvolge in Italia 3.757.000 persone, e una su quattro non è occupata. Con

un'incidenza sul totale dell'occupazione del 12,2 per cento.

I buoni risultati sul mercato del lavoro che giungono dalla Rilevazione sulle Forze di lavoro

dell'Istat, ed in particolare il calo del tasso di disoccupazione (6,8%, media 2006), sono in

larga parte da attribuire all'occupazione a termine, che ha contribuito per il 46% alla crescita

dell'occupazione complessiva. Tale crescita, che oggi assume una connotazione positiva, ha

però un'altra faccia della medaglia: la precarietà.

Negli ultimi anni la precarietà lavorativa ha coinvolto un numero di lavoratori sempre

crescente: da disagio individuale è così divenuta un fenomeno sociale che riguarda non solo il

mercato del lavoro dei giovani, ma anche le loro scelte riproduttive, i conseguenti

comportamenti economici e le ricadute complessive sugli equilibri previdenziali attuali e

futuri. La questione precarietà, pertanto, ha scalato l'agenda politica. Malgrado ciò le sue

dimensioni sono quanto mai incerte, tanto che proliferano numeri diversi, che fanno

riferimento a concetti e a fonti informative diverse.

Un numero difficile da calcolare

La stima del numero dei lavoratori precari presenta, effettivamente, diverse difficoltà. La

prima è di carattere concettuale: la precarietà, pur riferita in generale a uno stato di

insicurezza lavorativa, è una condizione sfumata, che coniuga situazioni oggettive con

sensazioni individuali. L'associazione che generalmente viene fatta tra precarietà e lavoro

temporaneo nelle sue diverse forme contrattuali è una approssimazione che non tiene conto

della complessità e delle opportunità dell'attuale mercato del lavoro. Infatti, tale approccio

limita l'area della precarietà all'occupazione escludendo quello che potremmo definire "the

dark side of the moon", composto da coloro che non hanno più un lavoro proprio in quanto

precari. Invece, è insita in un mercato del lavoro flessibile l'alternanza di periodi di

occupazione e periodi di non occupazione. Le persone che in un dato momento sono

occupate con contratti temporanei sono precarie esattamente come quelle che in quel

momento non sono occupate perché è finito un contratto a termine. Rilevare in una indagine

campionaria una persona che generalmente lavora con contratti a termine nel periodo in cui

lavora o nel periodo in cui non lavora è una questione puramente accidentale. La stessa

persona, se osservata più volte nel corso dell'anno, potrà risultare a volte occupata e a volte

disoccupata, ma il suo rapporto col mercato del lavoro è esattamente lo stesso; la sua natura

di precario emerge a prescindere dall'essere occupato o meno in un dato istante temporale.

Inoltre, la componente non occupata del precariato è forse quella politicamente più rilevante

in quanto ha bisogno di sussidi, di contributi figurativi, di ammortizzatori sociali, eccetera.

Una definizione "operativa" di precarietà

Non è nostra intenzione in questo articolo definire i contorni concettuali della precarietà

lavorativa né analizzarne le implicazioni sociali. Con un approccio pragmatico, intendiamo

invece proporne esclusivamente una definizione "operativa", che includa a) i lavoratori a

termine involontari; b) i collaboratori che presentino forti indizi di subordinazione – siano

coordinati e continuativi, a progetto, occasionali, oppure a partita Iva; c) le persone non più

occupate perché hanno concluso un contratto temporaneo e che tuttavia sono ancora sul

mercato del lavoro.

Una seconda difficoltà nella stima dei precari è la disponibilità di informazione statistica, che

si presenta frammentaria e a volte contraddittoria. Riteniamo, tuttavia, che utilizzando in

modo integrato le informazioni statistiche desumibili dalla Rilevazione sulle forze di lavoro

(Rfl) dell'Istat e della Rilevazione Plus dell'Isfol, e tenendo presente i riferimenti degli

archivi amministrativi Inps, si possa finalmente avere un quadro più definito delle dimensioni

della precarietà come da noi identificata. (1)

Lavoratori a termine

La più consistente di queste dimensioni è costituita dai lavoratori dipendenti a termine, che

nel terzo trimestre 2006 la Rfl stima complessivamente pari a 2.249.000 unità. (2) Per

aumentare la precisione della stima ci sembra però opportuno considerare tra i precari solo i

1.979.000 dipendenti a termine involontari, escludendo la piccola parte di lavoratori che

hanno accettato di buon grado una occupazione a termine. (3)

La Rfl consente pure di illuminare la faccia oscura della luna del lavoro precario a termine,

ovvero i 789mila individui non più occupati ai quali è scaduto un contratto a termine e che

sono in cerca di lavoro o sarebbero immediatamente disponibili a lavorare.

Co.co.co, co.co.pro e collaboratori occasionali

La seconda dimensione, probabilmente la più controversa, riguarda la misura delle

collaborazioni coordinate e continuative o a progetto. Una prima indicazione ci viene

dalla fonte Inps, di natura amministrativa, la quale indica il numero di contribuenti della

Gestione separata nel corso del 2005 in 1.475.111. (4) Si tenga presente che è largamente

accettata l'idea che solo una parte di questi siano effettivamente soggetti deboli sul mercato

del lavoro; eliminando infatti tutti coloro che dispongono di un altro reddito garantito

(pensionati e lavoratori per i quali i contratti di collaborazione costituiscono un secondo

lavoro), i professionisti e gli amministratori di società, si giunge a stimare il "nucleo duro" dei

collaboratori, quello a rischio di precarietà, in circa 800mila unità. Le fonti campionarie danno

invece stime inferiori ma tra loro molto vicine: 381mila collaboratori la Rfl, 407mila Plus.

(5)

È opportuno chiarire che i collaboratori desunti dalla Rfl, per l'impostazione della rilevazione,

sono i soggetti per i quali la collaborazione rappresenta lo "status" esclusivo e l'elemento

fondante della condizione lavorativa, i cosiddetti collaboratori puri. (6)

Plus, invece, presenta un'analisi delle condizioni dell'attività lavorativa dei collaboratori e li

classifica tra veri autonomi e finti autonomi. Tra i secondi, gerarchicamente, si ordinano

coloro che hanno più vincoli di subordinazione rispetto a una batteria di sei quesiti sulla

natura del lavoro: la monocommittenza, l'uso di mezzi del datore di lavoro, l'imposizione di

un orario di lavoro, l'aver avuto più di un rinnovo, la presenza sul posto di lavoro e, infine, la

volontarietà della forma contrattuale. (7) L'indagine Plus, attraverso questi parametri,

identifica vari livelli di subordinazione per i finti autonomi, in un range compreso tra 0 e 6.

Inoltre attraverso una serie di comparazioni tra questi raggruppamenti e alcune variabili di

controllo, principalmente il reddito da lavoro (8), si identificano come para-subordinati coloro

che sono esposti in media a più di tre vincoli di subordinazione.

I motivi della discrepanza tra il dato amministrativo e quelli campionari si spiegano

essenzialmente attraverso il differente riferimento temporale. L'Inps conta quante persone

hanno contribuito, nel corso di un anno, alla Gestione separata. È implicito in questo

meccanismo di tipo "contatore" che in ogni momento (ad esempio, a giugno) soltanto alcuni

di quegli 800mila contribuenti ha in effetti un contratto in essere, mentre per gli altri il

contratto è già terminato (magari a maggio) o deve ancora iniziare (a settembre). In altri

termini, se osservate contemporaneamente in un dato momento, le 800mila persone possono

trovarsi in situazioni tra loro molto differenti, che comprendono l'essere attualmente precari,

il non esserlo ancora e il non esserlo più, ad esempio perché al termine della collaborazione si

è ottenuto un contratto a tempo indeterminato, o si è avviata un'attività autonoma, o ci si è

ritirati dal lavoro perché non più interessati a lavorare. Ne consegue che la fonte Inps

fornisce una sovrastima dell'area del precariato. La Rfl e Plus fotografano invece la condizione

occupazionale in un dato istante temporale e ci dicono quante persone in quel momento sono

impiegate con contratti di collaborazione. (9) Per questa ragione, a nostro avviso,

nell'individuare l'area della precarietà, forniscono una stima più precisa.

Come per i dipendenti a termine, la Rfl consente di individuare i lavoratori precari non più

occupati ai quali è scaduto un contratto di collaborazione e che sono in cerca di lavoro o

sarebbero immediatamente disponibili a lavorare. La stima è pari a 67mila individui nel terzo

trimestre 2006.

Un terzo elemento di precarietà è costituito dalle prestazioni d'opera occasionale.

L'aggregato è complessivamente stimato da Plus in circa 200mila unità, sebbene il numero di

coloro che presentino più di tre caratteri di subordinazione sia pari a 60mila unità. La Rfl ne

stima un numero non molto distante, pari nel terzo trimestre 2006 a 82mila unità.

La Rfl inoltre stima in 54mila le persone non più occupate che, dopo aver concluso un lavoro

occasionale, sono alla ricerca di una nuova occupazione o sarebbero immediatamente

disponibili a lavorare.

Le partite Iva

Una componente dell'area della precarietà di cui molto si parla e di cui poco si sa è costituita

dal cosiddetto "popolo delle partite Iva", composto da quelle persone "costrette" ad aprire la

partita Iva pur lavorando in condizioni di subordinazione. Nella quantificazione di questo

aggregato Plus si rivela una fonte preziosa in quanto sopperisce alla carenza informativa delle

altre fonti. Somministrando ai lavoratori autonomi titolari di partite Iva quesiti relativi a vari

"indizi" di subordinazione, in maniera analoga a quanto fatto per i collaboratori, si ottiene una

stima di 365mila persone che presentano più di tre fattori di subordinazione.

La Rfl, invece, fornisce qualche indicazione, per quanto approssimativa, relativamente a chi

ha concluso un rapporto di lavoro parasubordinato con partita Iva. Tra gli ex-professionisti e i

lavoratori in proprio, coloro che hanno smesso di lavorare perché è finito un contratto

temporaneo ma sono alla ricerca di un nuovo lavoro o sarebbero immediatamente disponibili

a lavorare sono 38mila.

Complessivamente l'area della precarietà così individuata coinvolge 3.757.000 individui

(tavola 1), tra i quali uno su quattro non è occupato. L'incidenza di tale area sulla platea

potenziale di riferimento, costituita da tutti gli occupati e dai non occupati con precedenti

esperienze lavorative che mantengono un certo attachment con il mercato del lavoro

(complessivamente, secondo la Rfl, 25.613.000 unità) si attesta al 14,7 per cento.

L'incidenza dell'occupazione precaria sul totale (23.001.000 unità) è pari al 12,2 per cento,

mentre tra coloro che non hanno più un lavoro, ma sono in cerca di una nuova occupazione o

sarebbero immediatamente disponibili a lavorare (2.612.000 unità) i precari sono il 36,3 per

cento.