Emiliano Mandrone
Nicola Massarelli
21-03-2007
La stima del numero dei precari non è semplice. Ma se adottiamo una definizione "operativa", che includa i
lavoratori a termine involontari, i collaboratori con forti indizi di subordinazione e gli individui non più occupati
perché hanno concluso un contratto temporaneo e che tuttavia sono ancora sul mercato del lavoro, possiamo
calcolare che la precarietà coinvolge in Italia 3.757.000 persone, e una su quattro non è occupata. Con
un'incidenza sul totale dell'occupazione del 12,2 per cento.
I buoni risultati sul mercato del lavoro che giungono dalla Rilevazione sulle Forze di lavoro
dell'Istat, ed in particolare il calo del tasso di disoccupazione (6,8%, media 2006), sono in
larga parte da attribuire all'occupazione a termine, che ha contribuito per il 46% alla crescita
dell'occupazione complessiva. Tale crescita, che oggi assume una connotazione positiva, ha
però un'altra faccia della medaglia: la precarietà.
Negli ultimi anni la precarietà lavorativa ha coinvolto un numero di lavoratori sempre
crescente: da disagio individuale è così divenuta un fenomeno sociale che riguarda non solo il
mercato del lavoro dei giovani, ma anche le loro scelte riproduttive, i conseguenti
comportamenti economici e le ricadute complessive sugli equilibri previdenziali attuali e
futuri. La questione precarietà, pertanto, ha scalato l'agenda politica. Malgrado ciò le sue
dimensioni sono quanto mai incerte, tanto che proliferano numeri diversi, che fanno
riferimento a concetti e a fonti informative diverse.
Un numero difficile da calcolare
La stima del numero dei lavoratori precari presenta, effettivamente, diverse difficoltà. La
prima è di carattere concettuale: la precarietà, pur riferita in generale a uno stato di
insicurezza lavorativa, è una condizione sfumata, che coniuga situazioni oggettive con
sensazioni individuali. L'associazione che generalmente viene fatta tra precarietà e lavoro
temporaneo nelle sue diverse forme contrattuali è una approssimazione che non tiene conto
della complessità e delle opportunità dell'attuale mercato del lavoro. Infatti, tale approccio
limita l'area della precarietà all'occupazione escludendo quello che potremmo definire "the
dark side of the moon", composto da coloro che non hanno più un lavoro proprio in quanto
precari. Invece, è insita in un mercato del lavoro flessibile l'alternanza di periodi di
occupazione e periodi di non occupazione. Le persone che in un dato momento sono
occupate con contratti temporanei sono precarie esattamente come quelle che in quel
momento non sono occupate perché è finito un contratto a termine. Rilevare in una indagine
campionaria una persona che generalmente lavora con contratti a termine nel periodo in cui
lavora o nel periodo in cui non lavora è una questione puramente accidentale. La stessa
persona, se osservata più volte nel corso dell'anno, potrà risultare a volte occupata e a volte
disoccupata, ma il suo rapporto col mercato del lavoro è esattamente lo stesso; la sua natura
di precario emerge a prescindere dall'essere occupato o meno in un dato istante temporale.
Inoltre, la componente non occupata del precariato è forse quella politicamente più rilevante
in quanto ha bisogno di sussidi, di contributi figurativi, di ammortizzatori sociali, eccetera.
Una definizione "operativa" di precarietà
Non è nostra intenzione in questo articolo definire i contorni concettuali della precarietà
lavorativa né analizzarne le implicazioni sociali. Con un approccio pragmatico, intendiamo
invece proporne esclusivamente una definizione "operativa", che includa a) i lavoratori a
termine involontari; b) i collaboratori che presentino forti indizi di subordinazione – siano
coordinati e continuativi, a progetto, occasionali, oppure a partita Iva; c) le persone non più
occupate perché hanno concluso un contratto temporaneo e che tuttavia sono ancora sul
mercato del lavoro.
Una seconda difficoltà nella stima dei precari è la disponibilità di informazione statistica, che
si presenta frammentaria e a volte contraddittoria. Riteniamo, tuttavia, che utilizzando in
modo integrato le informazioni statistiche desumibili dalla Rilevazione sulle forze di lavoro
(Rfl) dell'Istat e della Rilevazione Plus dell'Isfol, e tenendo presente i riferimenti degli
archivi amministrativi Inps, si possa finalmente avere un quadro più definito delle dimensioni
della precarietà come da noi identificata. (1)
Lavoratori a termine
La più consistente di queste dimensioni è costituita dai lavoratori dipendenti a termine, che
nel terzo trimestre 2006 la Rfl stima complessivamente pari a 2.249.000 unità. (2) Per
aumentare la precisione della stima ci sembra però opportuno considerare tra i precari solo i
1.979.000 dipendenti a termine involontari, escludendo la piccola parte di lavoratori che
hanno accettato di buon grado una occupazione a termine. (3)
La Rfl consente pure di illuminare la faccia oscura della luna del lavoro precario a termine,
ovvero i 789mila individui non più occupati ai quali è scaduto un contratto a termine e che
sono in cerca di lavoro o sarebbero immediatamente disponibili a lavorare.
Co.co.co, co.co.pro e collaboratori occasionali
La seconda dimensione, probabilmente la più controversa, riguarda la misura delle
collaborazioni coordinate e continuative o a progetto. Una prima indicazione ci viene
dalla fonte Inps, di natura amministrativa, la quale indica il numero di contribuenti della
Gestione separata nel corso del 2005 in 1.475.111. (4) Si tenga presente che è largamente
accettata l'idea che solo una parte di questi siano effettivamente soggetti deboli sul mercato
del lavoro; eliminando infatti tutti coloro che dispongono di un altro reddito garantito
(pensionati e lavoratori per i quali i contratti di collaborazione costituiscono un secondo
lavoro), i professionisti e gli amministratori di società, si giunge a stimare il "nucleo duro" dei
collaboratori, quello a rischio di precarietà, in circa 800mila unità. Le fonti campionarie danno
invece stime inferiori ma tra loro molto vicine: 381mila collaboratori la Rfl, 407mila Plus.
(5)
È opportuno chiarire che i collaboratori desunti dalla Rfl, per l'impostazione della rilevazione,
sono i soggetti per i quali la collaborazione rappresenta lo "status" esclusivo e l'elemento
fondante della condizione lavorativa, i cosiddetti collaboratori puri. (6)
Plus, invece, presenta un'analisi delle condizioni dell'attività lavorativa dei collaboratori e li
classifica tra veri autonomi e finti autonomi. Tra i secondi, gerarchicamente, si ordinano
coloro che hanno più vincoli di subordinazione rispetto a una batteria di sei quesiti sulla
natura del lavoro: la monocommittenza, l'uso di mezzi del datore di lavoro, l'imposizione di
un orario di lavoro, l'aver avuto più di un rinnovo, la presenza sul posto di lavoro e, infine, la
volontarietà della forma contrattuale. (7) L'indagine Plus, attraverso questi parametri,
identifica vari livelli di subordinazione per i finti autonomi, in un range compreso tra 0 e 6.
Inoltre attraverso una serie di comparazioni tra questi raggruppamenti e alcune variabili di
controllo, principalmente il reddito da lavoro (8), si identificano come para-subordinati coloro
che sono esposti in media a più di tre vincoli di subordinazione.
I motivi della discrepanza tra il dato amministrativo e quelli campionari si spiegano
essenzialmente attraverso il differente riferimento temporale. L'Inps conta quante persone
hanno contribuito, nel corso di un anno, alla Gestione separata. È implicito in questo
meccanismo di tipo "contatore" che in ogni momento (ad esempio, a giugno) soltanto alcuni
di quegli 800mila contribuenti ha in effetti un contratto in essere, mentre per gli altri il
contratto è già terminato (magari a maggio) o deve ancora iniziare (a settembre). In altri
termini, se osservate contemporaneamente in un dato momento, le 800mila persone possono
trovarsi in situazioni tra loro molto differenti, che comprendono l'essere attualmente precari,
il non esserlo ancora e il non esserlo più, ad esempio perché al termine della collaborazione si
è ottenuto un contratto a tempo indeterminato, o si è avviata un'attività autonoma, o ci si è
ritirati dal lavoro perché non più interessati a lavorare. Ne consegue che la fonte Inps
fornisce una sovrastima dell'area del precariato. La Rfl e Plus fotografano invece la condizione
occupazionale in un dato istante temporale e ci dicono quante persone in quel momento sono
impiegate con contratti di collaborazione. (9) Per questa ragione, a nostro avviso,
nell'individuare l'area della precarietà, forniscono una stima più precisa.
Come per i dipendenti a termine, la Rfl consente di individuare i lavoratori precari non più
occupati ai quali è scaduto un contratto di collaborazione e che sono in cerca di lavoro o
sarebbero immediatamente disponibili a lavorare. La stima è pari a 67mila individui nel terzo
trimestre 2006.
Un terzo elemento di precarietà è costituito dalle prestazioni d'opera occasionale.
L'aggregato è complessivamente stimato da Plus in circa 200mila unità, sebbene il numero di
coloro che presentino più di tre caratteri di subordinazione sia pari a 60mila unità. La Rfl ne
stima un numero non molto distante, pari nel terzo trimestre 2006 a 82mila unità.
La Rfl inoltre stima in 54mila le persone non più occupate che, dopo aver concluso un lavoro
occasionale, sono alla ricerca di una nuova occupazione o sarebbero immediatamente
disponibili a lavorare.
Le partite Iva
Una componente dell'area della precarietà di cui molto si parla e di cui poco si sa è costituita
dal cosiddetto "popolo delle partite Iva", composto da quelle persone "costrette" ad aprire la
partita Iva pur lavorando in condizioni di subordinazione. Nella quantificazione di questo
aggregato Plus si rivela una fonte preziosa in quanto sopperisce alla carenza informativa delle
altre fonti. Somministrando ai lavoratori autonomi titolari di partite Iva quesiti relativi a vari
"indizi" di subordinazione, in maniera analoga a quanto fatto per i collaboratori, si ottiene una
stima di 365mila persone che presentano più di tre fattori di subordinazione.
La Rfl, invece, fornisce qualche indicazione, per quanto approssimativa, relativamente a chi
ha concluso un rapporto di lavoro parasubordinato con partita Iva. Tra gli ex-professionisti e i
lavoratori in proprio, coloro che hanno smesso di lavorare perché è finito un contratto
temporaneo ma sono alla ricerca di un nuovo lavoro o sarebbero immediatamente disponibili
a lavorare sono 38mila.
Complessivamente l'area della precarietà così individuata coinvolge 3.757.000 individui
(tavola 1), tra i quali uno su quattro non è occupato. L'incidenza di tale area sulla platea
potenziale di riferimento, costituita da tutti gli occupati e dai non occupati con precedenti
esperienze lavorative che mantengono un certo attachment con il mercato del lavoro
(complessivamente, secondo la Rfl, 25.613.000 unità) si attesta al 14,7 per cento.
L'incidenza dell'occupazione precaria sul totale (23.001.000 unità) è pari al 12,2 per cento,
mentre tra coloro che non hanno più un lavoro, ma sono in cerca di una nuova occupazione o
sarebbero immediatamente disponibili a lavorare (2.612.000 unità) i precari sono il 36,3 per
cento.